Ordinanza n. 391 del 2007

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ORDINANZA N. 391

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                          BILE                          Presidente

- Francesco                             AMIRANTE                        Giudice

- Ugo                             DE SIERVO                       "

- Paolo                           MADDALENA                   "

- Alfio                            FINOCCHIARO                 "

- Alfonso                        QUARANTA                      "

- Luigi                            MAZZELLA                      "

- Gaetano                       SILVESTRI                       "

- Sabino                          CASSESE                          "

- Maria Rita                    SAULLE                            "

- Giuseppe                      TESAURO                         "

- Paolo Maria                  NAPOLITANO                  "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), promosso con ordinanza del 10 agosto 2006 dal Giudice di pace di Roma sezione distaccata di Ostia nel procedimento civile vertente tra Giuseppe Di Claudio e il Comune di Roma, iscritta al n. 264 del registro ordinanze del 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, edizione straordinaria del 26 aprile 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 settembre 2007 il Giudice relatore Sabino Cassese.

Ritenuto che nel corso di un giudizio di opposizione avverso la cartella di pagamento di sanzioni amministrative, irrogate dal Comune di Roma per violazioni del codice della strada, il Giudice di pace di Ostia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

che il giudice rimettente denuncia il quarto comma dell’art. 22, nella parte in cui obbliga l’opponente, che abbia scelto di difendersi personalmente, a dichiarare la propria residenza o ad eleggere il domicilio nel comune dove ha sede il giudice adito, nonché il quinto comma dello stesso art. 22, nella parte in cui dispone, nel caso di omessa dichiarazione di residenza o elezione di domicilio nel comune ove risiede il giudice adito, che le notificazioni al ricorrente vengano eseguite mediante deposito in cancelleria;

che, secondo quanto riferisce il giudice rimettente, l’opponente, costituendosi di persona, ha dichiarato la propria residenza in Salcito (Campobasso) e il domicilio in Fiumicino (Roma), cioè in comuni che non sono sede del giudice di pace adito (Roma-Ostia), sicché alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza di comparizione si è provveduto, secondo la «prevalente, conforme e consolidata interpretazione giurisprudenziale» della Corte di cassazione (sezioni unite, sentenze numeri 5665 del 1991 e 2945 del 1990), avallata anche dalla Corte costituzionale (ordinanza n. 42 del 1988), mediante deposito in cancelleria, nel rispetto della norma censurata;

che lo stesso giudice dà conto della mancata comparizione all’udienza del ricorrente, con la conseguente impossibilità di acquisire ulteriore documentazione relativa alla data di ricezione della notifica della opposta cartella di pagamento;

che, ad avviso del rimettente, la mancata presentazione nella prima udienza deriva dalla circostanza che l’opponente, costituitosi personalmente, a norma dell’art. 22, quarto comma, della legge n. 689 del 1981, non ha ricevuto la notifica nel domicilio eletto di Fiumicino, essendo stata la notifica effettuata presso la cancelleria del giudice adito (Roma-Ostia);

che in generale, secondo il rimettente, l’orientamento maggioritario sopra menzionato della Corte di cassazione confligge con la pronuncia n. 98 del 2004 della Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981, ha consentito l’utilizzo del servizio postale per la proposizione dell’opposizione;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che i commi quarto e quinto dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981, nella interpretazione applicativa delle Sezioni Unite della Corte di cassazione contrasterebbero:

con il combinato disposto degli artt. 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., atteso che, rispetto alla difesa tecnica, la difesa personale – considerata «la minore competenza e diligenza del profano cittadino rispetto al professionista» – non può sottrarsi al principio di inviolabilità della difesa nel contraddittorio delle parti in condizioni di parità;

sotto altro profilo e con i medesimi parametri, atteso che le norme denunciate determinerebbero una sperequazione fra pubblica amministrazione e privati, gravando soltanto sul privato cittadino che si trova a confliggere con la pubblica amministrazione, in quanto a quest’ultima viene «sempre ed ovunque» notificato il decreto di fissazione dell’udienza di comparizione ed in quanto la stessa amministrazione, anche nel caso non si tratti dello stesso comune che ha irrogato le sanzioni, non ha difficoltà a nominare un procuratore domiciliato in quello stesso comune;

con l’art. 3 Cost., atteso che le norme censurate illegittimamente limitano i diritti dei cittadini, nel senso che «il cittadino, soltanto fittiziamente portato a conoscenza della fissazione dell’udienza, si trova inconsapevolmente impossibilitato (come nella fattispecie in esame) ad esercitare» i diritti collegati alla partecipazione all’udienza a norma dell’art. 183 del codice di procedura civile o, altrimenti, si trova «irragionevolmente gravato da costose incombenze per l’approccio alla cancelleria»;

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile, non avendo il giudice rimettente sperimentato un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni censurate;

che, nel merito, l’Avvocatura sostiene l’infondatezza della sollevata questione in relazione a tutti i parametri evocati, atteso che l’assetto dei diversi modelli procedimentali è materia riservata alla discrezionalità del legislatore (viene richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 431 del 1992);

che, ad avviso della difesa erariale, la doglianza secondo cui il «cittadino resistente» godrebbe di un trattamento processuale deteriore rispetto alla pubblica amministrazione non è fondata, tenuto conto che l’Avvocatura generale dello Stato ha una sede centrale ed è dislocata in varie sedi distrettuali stabilite ex lege.

Considerato che il Giudice di pace di Ostia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale);

che, come questa Corte ha già affermato, la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune ove ha sede l’ufficio giudiziario adito per la parte che sta in giudizio personalmente è un dato dell’ordinamento processuale variabile in relazione ai diversi modelli procedimentali e sul quale «il giudice delle leggi non può non riconoscere che questa è materia riservata alla discrezionalità del legislatore» (sentenza n. 431 del 1992);

che questa Corte ha già avuto occasione di precisare che l’onere di indicare la residenza o di eleggere domicilio deve essere inquadrato in un sistema che impone all’opponente di proporre l’opposizione a sanzione amministrativa dinanzi al giudice del luogo in cui è stata commessa la violazione, con assoluta indifferenza rispetto alla propria residenza ed all’eventualità che la stessa sia fuori dal comune sede del giudice adito; che, pertanto, «la prescrizione dell’onere di indicazione della residenza e dell’elezione di domicilio nel Comune sede del giudice adito, con i sacrifici che ad essa si correlano, non solo esprime una scelta discrezionale del legislatore […], ma risulta ragionevole e non lesiva del diritto di azione in quanto funzionale a un più immediato ed agevole espletamento delle formalità della notificazione» (ordinanza n. 231 del 2002);

che, inoltre, le diversità riscontrabili nella disciplina delle notificazioni tra la parte che sceglie di stare in giudizio personalmente e quella che nomina un difensore, non violano gli artt. 3 e 24 della Costituzione, atteso che colui che decide di difendersi personalmente è interessato a seguire gli sviluppi dell’intera vicenda processuale, mentre chi nomina un difensore ha diritto di attendersi che quest’ultimo sia in condizione di svolgere efficacemente l’attività professionale in sua difesa (ordinanza n. 42 del 1988);

che, anche in merito alla asserita violazione del diritto di difesa, denunciata dal rimettente sotto il profilo dell’art. 111, secondo comma, Cost., vale l’orientamento di questa Corte per cui quest’ultimo parametro deve intendersi come esplicativo del «diritto di difesa considerato di per sé» (sentenza n. 321 del 2007, punti 4 e 6 del considerato in diritto);

che del tutto priva di fondamento è, infine, la doglianza relativa alla sperequazione fra pubblica amministrazione e privati, la quale prescinde dall’inquadramento delle norme censurate in un sistema processuale che impone all’opponente di proporre opposizione dinanzi al giudice del luogo ove la violazione è stata commessa, sistema già ritenuto ragionevole da questa Corte perché funzionale ad un più agevole espletamento delle formalità di notificazione (ordinanza n. 231 del 2002);

che, pertanto, la questione è manifestamente infondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, quarto e quinto comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), sollevata dal Giudice di pace di Ostia, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

Cosi deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Sabino CASSESE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2007.